Amarcord

I fichissimi – Cervo di montagna, maiale di scogliera

12 giugno 2015

  I fichissimi – Cervo di montagna, maiale di scogliera

1980.
E’ inverno. Stiamo attraversando la città. Giambellino-Città Studi.
Quasi il medesimo tragitto che facevo alcuni anni prima con i mezzi pubblici per andare dai Gatti in via Venini. La macchina di Ugo è una A 112. Adesso penso che forse con i mezzi pubblici sarebbe stato meglio. Ugo guida come il figlio demente di Manuel Fangio. Ha l’atteggiamento classico da «mandarino››. Fuori fa un freddo becco e lui viaggia con il finestrino aperto per tener fuori il gomito. Naturalmente il riscaldamento è spento. Dice che se no mi va giù la voce. Ma è meglio non litigare, bisogna restare concentrati. Avrà preso dentro il bordo del marciapiede già quattro o cinque volte.Siamo in ritardo. Non ci dovevo andare al Ciak, penso. Forse un teatro così grande è un rischio: se non è tutto pieno sembra vuoto. Cioè, anche con molta gente non sembra pieno. Insomma, ci siamo capiti… Non so perché ho detto di sì. Dio che fatica. Sono appena tornato da Roma dove ho fatto il mio spettacolo di cabaret davanti a poche persone, in una specie di cave. E il Ciak invece è grande davvero. Mille-posti-mille. Leo Wächter, ci pensi? Mi ha chiamato proprio lui, Leo. Quello che ha portato i Beatles in Italia. E i Rolling. Quello che ha messo in piedi il più grande musical italiano della storia del teatro. Ciao Rudy. Cosi grande che non c’erano teatri abbastanza capienti per contenere la scenografia. Leo Wächter è molto attento al comico. Appena si accorge che c’è qualcuno che funziona davvero lo chiama. Ha preso in gestione il Ciak, vecchio cinema di quartiere, e lo ha fatto diventare il luogo più ambito dai comici. Ma quelli grandi, quelli che contano. D’accordo, ho già fatto qualche teatro, in giro per l’Italia, ma questo ha proprio il sapore del debutto ufficiale. Manca forse un’ora all’inizio. So di avere repertorio sufficiente, ho uno spettacolo che mi sono scritto da solo. Ma per una situazione cosi importante devo inventarmi qualcosa… Ugo intanto continua con la sua guida che vorrebbe essere brillante. Magari lo fa apposta per distrarmi. Ma poi – ragiono a voce alta senza neppure preoccuparmi delle risposte di Ugo – non capisco perché dovrei avere paura di mille persone. E vero, i posti sono mille e sembrano tremila, ma in fondo era peggio se erano tremila e sembravano mille… C’è una cosa che faccio sempre quando mi trovo in difficoltà: cambio dimensione. Problemi su ciò che dovrò fare tra un’ora? Dovrei analizzare il da farsi? Macché, incomincio a cantare. Dalla. Era appena uscito Caro amico ti scrivo. Canto Dalla cambiando le parole. Ugo mi viene dietro. Una cazzata via l’altra. Io interpreto il personaggio del pugliese (gli altri lo chiamano già il Terroncello), che ormai faccio da mesi, dividendolo con Giorgio Porcaro. Ecco, siamo in zona. Forse c’è un incidente. Ugo rallenta, finalmente. C’è un sacco di gente per strada, il traffico è semi bloccato. Ora siamo al Ciak. A fatica guadagno l’ingresso dei Camerini. Niente incidente. Tutta quella gente è li per me. Incomincio a capire che cos’è il famoso passaparola, il leggendario tam-tam di cui favoleggiano gli artisti quando, senza troppa pubblicità, si ritrovano con i teatri pieni. Ma non succede quasi mai, tanto che quando accade se ne parla come di un miracolo. E’ un martedi. Molti ragazzi vanno via con un biglietto per i giorni a seguire, ma presto finiscono anche quelli. Dovrei essere paralizzato dalla paura, invece mi prende una strana euforia. Ho venticinque anni, sono stupito e contento e conscio di avere avuto una buona dose di culo. Quel canticchiare fatto in auto mi ha dato un’idea. Esco in scena a luci ancora accese in sala, come se fossi un tecnico che deve sistemare gli strumenti e l’impianto voce. Lo faccio anche perché voglio prendere i tempi delle risate, cercare di capire che tipo di pubblico ho davanti. Appena salgo sul palco la gente applaude, ride, crea un’atmosfera di complicità. Se non mi facesse abbastanza schifo il termine, parlerei di vibrazioni, tra virgolette. Ho scritto per intero la parola virgolette perché mi fa schifo anche farle. Comunque sento che il pubblico è già entusiasta sulla fiducia. Cerco il pianoforte. Non lo so suonare, non ho mai voluto imparare davvero, da piccolo, nonostante mio padre, che invece ci teneva moltissimo, mi avesse scatenato contro una signorina che si era presentata come insegnante e che invece ricordava molto una specie di Hitler, anche fisicamente. lo allora non sapevo ancora bene chi fosse Hitler, però sapevo benissimo chi era lei. Nonostante ciò, alla fin fine, qualche nota l’avevo imparata. E poi sapevo benissimo com’era fatto, anche nei dettagli, un pianoforte. Per anni l’avevo smontato durante le tournée dei Gatti e gli spettacoli al Derby. Se sai come si fa, ci vuole un attimo ad aprire un piano. A richiuderlo non so: il mio compito con Smaila si limitava alla prima fase. Poi ci pensava quello della discoteca a rimetterlo a posto. Apro il pianoforte con grande maestria. Prendo uno dei due microfoni e lo metto sul piano. ll pubblico, vedendo che mi muovo bene con lo strumento, pensa che lo sappia suonare. Comunque ride, sempre sulla fiducia. Posiziono l’altro microfono. Mi siedo come se fossi un grande musicista. Sei accordi li avevo imparati, durante quelle terribili lezioni. Li faccio a caso. lnizio a cantare i pezzi accennati in auto con Ugo. Cioè quelli di Dalla con le parole cambiate, le mie. Caro amico ti scrivo. Tripudio. Anna e Marco, Balla balla ballerino. Poi: Il cobra non è un serpente (…ma una biscia fetente/ che ha impestato l’ambiente/ Quanto veto te/ quanto veto te/ quanto veto te…).
Di nuovo delirio. Concludo con Cervo di montagna, versione riveduta e corretta della canzone di Riccardo Cocciante: « lii rinascerò/ cervo di muntagna/oppure mi crerò/ come un maiale di scogliera/ o come un porco che si bagna…›› eccetera.
Al termine delle canzoni mi accorgo che sono passati tre quarti d’ora (in totale lo spettacolo quella sera durò tre ore). Ormai non ho più alcun timore. Ho capito che nella mia vita sta cambiando qualcosa. Sono diventato l’ultima rivelazione nazional- popolare uscita da quella grande fucina di disgraziati di talento che si chiama Derby Club.

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